Il disturbo depressivo maggiore, quindi, non solo si caratterizza per una serie di sintomi nell’area affettiva, con la presenza di una tristezza patologica immodificabile dalle contingenze esterne, ma si estende anche all’area cognitiva, comportamentale e somatica. A livello cognitivo, ad esempio, il contenuto dei pensieri di questi pazienti è spesso contraddistinto da una negatività pervasiva, rispetto a sé, agli altri e alla propria realtà. Vi è una significativa attenzione verso il proprio mondo interiore e un progressivo isolamento sociale e disinteresse verso l’ambiente circostante, una difficoltà nel concentrarsi, nel memorizzare nuove informazioni e nel prendere qualunque tipo di decisione (difficoltà nel processo di decision making).
Per quanto riguarda la cause alla base di questo disturbo attualmente gli studi propendono, come nel caso di altri disturbi psichiatrici, per un’eziologia multifattoriale. Ricerche condotte su gemelli monozigoti (che possiedono lo stesso patrimonio genetico) hanno permesso di riconoscere il ruolo dei fattori genetici: più geni sarebbero coinvolti nella modulazione delle strutture cerebrali connesse alla regolazione del tono dell’umore e questo spiegherebbe l’estrema eterogeneità sintomatologica nella manifestazione del disturbo. A livello biologico la depressione è stata correlata ad alcune anomalie endocrine e neurotrasmettitoriali. In particolare in questi pazienti sono stati riscontrati elevati livelli di cortisolo, il cosiddetto ormone dello stress ed alterazioni che riguardano le monoamine neurotrsmettitoriali: noradrenalina, serotonina e dopamina. Gli studi più recenti sostengono che nei soggetti più vulnerabili alla depressione, i recettori per la serotonina siano iposensibili e dunque una riduzione di questo neurotrasmettitore si assocerebbe a ripercussioni importanti. Sulla base di questi studi i farmaci oggi più utilizzati nel trattamento della depressione, noti con l’acronimo inglese di SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina), agiscono proprio con l’obiettivo di garantire una maggiore disponibilità di serotonina a livello cerebrale, inibendone la sua ricaptazione.