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La disabilità uditiva

A cura della Dott.ssa Alessia Tam
Secondo quanto riportato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità ( OMS), nel  mondo sono circa 360 milioni le persone con disabilità uditiva; secondo l’Istat, in Italia, sono 877.000. La sordità e i problemi di udito sono condizioni che riguardano ben il 5 % della popolazione mondiale.
In Italia, approssimativamente, nasce un bambino sordo ogni mille e uno ogni trecento presenta un qualche tipo di ipoacusia. Secondo la legge 95/2006 dell’art.1 esprime che  “…si considera sordo il minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva che gli abbia compromesso il normale apprendimento del linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica o dipendente da causa di guerra, di lavoro o di servizio”. Nell’espressione “ che gli abbia compromesso il normale apprendimento del linguaggio parlato” si vuole intendere che l’ipoacusia dev’essere di grado tale da aver interferito con il normale processo di apprendimento del linguaggio parlato, rendendo cosi indispensabile l’uso di ausili protesici e di interventi.

Il fenomeno della disabilità sensoriale dell’udito rappresenta la disabilità sensoriale più diffusa; si presenta con caratteristiche e frequenza differenziate in funzione dell’età dei soggetti e della gravità del deficit uditivo, così come di altri fattori ambientali, sociali e legati alla condizione lavorativa delle persone. L’ Organizzazione Mondiale della Sanità (1980) ha definito ipoacusico il bambino “la cui acuità uditiva non è sufficiente a permettergli di imparare la sua lingua, di partecipare alle normali attività della sua età, di seguire con profitto l’insegnamento scolastico generale. Uno schema di riferimento per inquadrare la disabilità uditiva rispetto alla comprensione e produzione di un linguaggio verbale deve comprendere: grado di deficit uditivo, tipologia di sordità; epoca di insorgenza della sordità; epoca della diagnosi e della rieducazione; idoneità della protesi acustica/impianto cocleare; metodologia della rieducazione; capacità del bambino di memorizzare e comprendere attraverso la lettura labiale e l’allenamento acustico; in famiglia: accettazione del figlio con deficit e attivazione di risorse; a scuola: insegnamento ricevuto , apprendimento di lettura e scrittura; frequenza di compagni udenti e sordi; livello di collaborazione tra famiglia, scuola, servizi sociali e sanitari. Si distinguono quattro gradi in relazione all’entità della perdita uditiva: lieve con soglia tra 20 e 40 decibel; media con soglia tra 40 e 70 decibel; grave con soglia tra 70 e 90 decibel; profonda con soglia uguale o superiore ai 90 decibel.

Il bambino va visto globalmente, inserito nel suo contesto in quanto sono interconnesse variabili cliniche, riabilitative, risorse emotive e cognitive, ambiente familiare, scolastico, educativo e sociale. Spesso, l’eziologia della sordità è uno degli aspetti meno chiari della diagnosi. Le cause della sordità possono essere divise in due grandi aree: le sordità congenite, cioè insorte prima della nascita e le sordità acquisite, insorte al momento della nascita ( neonatali) o in seguito ( postnatali).Tra le cause di sordità congenite troviamo: fattori ereditari e di ordine genetico; cause legate alla gravidanza come: cause infettive come la toxoplasmosi, la rosolia, l’epatite virale, il morbillo e la parotite; cause microbiche come la sifilide e il tifo; cause tossiche come la streptomicina ad alti dosaggi, l’assunzione di alcool, il fumo e i narcotici. Il pericolo maggiore di alcuni farmaci, inoltre, è che, se assunti in gravidanza, hanno la capacità di avere effetti teratogenetici, perciò in grado di causare malformazione congenite nel bambino.
Sono presenti, inoltre, cause legate al parto come una presentazione anomala, un parto precipitoso, asfissia o anossia. Tra le cause post-natali, invece, vi sono i traumi e le malattie infettive, tra cui le infezioni dell’orecchio.
Si stima che le sordità ereditarie rappresentino almeno il 50% delle ipoacusie profonde infantili e siano prevalentemente ( l’80%) con modalità autosomica recessiva, ovvero la caratteristica si trasmette indipendentemente dal sesso. La caratteristica della recessività ha come conseguenza per molte coppie di genitori sordi la nascita di figli udenti, aspetto piuttosto rilevante nella vita delle persone con disabilità uditiva, ma generalmente poco conosciuto. Il gene GJB2 all’interno del cromosoma 13 sembra essere il responsabile della sordità ereditaria e, almeno nei Paesi mediterranei, è la mutazione di questo gene a causare nell’80% dei casi la sordità è genetica. La privazione della stimolazione acustica produce un’atrofia dei nuclei uditivi centrali con involuzione morfologica delle aree uditive che a loro volta influenzano l’organizzazione del sistema nervoso centrale. Ovviamente il periodo d’insorgenza avrà conseguenze piuttosto diverse sulla persona, sulla percezione uditiva e sul successivo sviluppo linguistico. È necessario perciò partire con un sistema di screening neonatali sistematici e diffusi: anche se la sordità infantile è statisticamente poco frequente, le sue conseguenze sulla vita relazionale possono diventare “molto gravi e persistenti durante tutta la vita” proprio se non si interviene tempestivamente . Inoltre è una condizione attualmente irreversibile, nel senso che la funzione uditiva non può essere ripristinata completamente, pur essendo migliorati gli ausili a diposizione.
La tempestività della diagnosi è un fattore essenziale affiinché le strutture cerebrali deputate alla elaborazione dell’informazione uditiva raggiungano un adeguato sviluppo solo se prima dell’ottavo mese di vita avviene una sufficiente stimolazione binaurale dell’organo uditivo.
La sede del danno dell’apparato uditivo può riguardare una qualunque delle sue parti, con conseguenze diverse. Più precisamente: trasmissiva: quando il difetto è localizzato nell’orecchio esterno o medio; neurosensoriale: quando il danno riguarda la coclea o il nervo acustico; mista: quando l’ipoacusia è in parte trasmissiva e in parte neurosensoriale; centrale, quando il danno è localizzato nell’apparato di elaborazione del segnale elettrico (tronco dell’encefalo).
La diagnosi, la riabilitazione logopedica e la protesizzazione precoci costituiscono l’aspetto fondamentale per un buon recupero della funzione uditiva nel bambino sordo. Prima di affrontare la protesizzazione occorre approfondire alcuni concetti logopedici importanti che aiutano a chiarire il complicato processo di quello che generalmente è considerato “ sentire”. Questo processo non è relativo tanto alla percezione o meno di un suono, quanto alla capacità di differenziazione, identificazione e riconoscimento di uno specifico stimolo uditivo.
Il primo livello di percezione, definito soglia di detezione, è costituito dall’avvertire la presenza o meno di un qualsiasi suono. Questo primo livello di soglia percettiva, viene registrato da un esame audiometrico classico effettuato in cabina chiusa con le cuffie a cui vengono inviati input onori ad intensità e frequenze diverse ( audiometria tonale). Al secondo livello di soglia percettiva vi è la discriminazione, ovvero la capacità di distinguere due suoni diversi. Una volta compreso che esiste un mondo sonoro  è importante che il bambino inizi ad affinare la percezione. Molto importante è, dopo il fatto di aver compreso che esiste un mondo sonoro, il concetto di identificazione, costituito da un affinamento della percezione e dalla capacità di associare uno stimolo al significato tra altri detti distrattori. Il riconoscimento è considerato l’elemento fondamentale per la comprensione del linguaggio orale ed è l’abilità di saper riconoscere una parola e di ripeterla. L’esame che misura questa abilità è l’audiometria vocale.  Dunque, la persona sorda con gli ausili protesici sente “poco e male” ed è di fondamentale importanza l’allenamento acustico mirato ad incrementare le capacità di riconoscimento essenziali per la decodifica della comunicazione verbale.
Il procedimento per la protesizzazione è quindi delicato e richiede l’interazione di diverse figure mediche, tecniche, riabilitative ed educative con monitoraggio costante della situazione. Le protesi permettono di amplificare il residuo uditivo a maggior intensità, diversificato a seconda della banda di frequenza, per esempio permette di amplificare bene i suoni gravi, ma non quelli acuti. Esiste quindi un tipo di amplificazione detta non lineare, poiché fornisce guadagni differenti sulle intensità d’ingresso. In Italia e nei paesi occidentali, in relazione all’educazione del bambino sordo alla lingua vocale si  possono distinguere a grandi linee tre approcci: metodo oralista; metodo bimodale; educazione bilingue. La via oralista ha come obiettivo quello di portare la persona sorda al massimo delle sue capacità comunicative verbali utilizzando solo questo canale per favorirne l’integrazione dell’individuo nella società. Il linguaggio si sviluppa in vari ambiti che possono essere suddivisi in fonologico, lessicale, morfosintattico, pragmatico. Nella realtà si sviluppano in stretta connessione tra loro, anche se il bambino in alcuni momenti può essere più avanti o più indietro nell’altro. Nell’ambito fonologico, infatti, il bambino sordo presenta un apprendimento differito e una competenza fonologica meno buona da un punto di vista qualitativo. Può accadere che permangono in età adulta alcuni errori, tipici dei bambini piccoli, come per esempio nella vocale finale delle parole.
Nell’aspetto semantico, vi è una povertà di vocaboli uniti ad una rigidità nel comprendere il significato di parole che assumono significati diversi a seconda del contesto.  Difficoltà esemplificative che il bambino sordo può incontrare riguarda la ricchezza dei sinonimi in italiano; può conoscere il termine uomo, ma non individuo, persona, essere.. che rappresentano sfumature diverse di uno stesso concetto.
Nelle competenze pragmatiche, il bambino sordo ha enormi difficoltà, perché queste abilità si acquisiscono proprio attraverso la ripetitività sonora, che lui non può utilizzare.  Rispetto a questi errori, va sottolineata l’importanza di diagnosi sempre più precoci e precise, di poter usufruire di ausili protesici in grado di potenziare residui uditivi e di tecniche riabilitative sempre più mirate. Se il bambino non procede con l’apprendimento della lingua nei tempi canonici avrà una ricaduta anche sull’acquisizione della teoria della mente, soprattutto se rimangono limitate le conversazioni tra lui e i familiari sugli stati mentali, relegandole solo ai dati percettivi. Sul piano educativo, si può fare molto per aiutare il ragazzo a gestire il disagio e l’ansia di una conversazione, soprattutto se si tratta di una persona o familiare, quindi di un interlocutore meno predisposto ed allenato a favorire la comprensione e con un timbro di voce poco noto.  Nel caso dei bambini sordi, se la disabilità uditiva viene scoperta molto presto, a breve distanza dalla nascita, gli ausili protesici possono consentire la percezione dei primi suoni, la voce dei genitori e tutti gli stimoli utili a riprodurre i primi versi e poi le parole. Le protesi permettono infatti di attivare diverse aree del cervello tramite l’udito, consentendo ai piccoli di iniziare a parlare.
E’ decisamente importante che la diagnosi sia molto precoce. I bambini sordi vanno educati ad una progressiva gestione autonoma dei propri ausili; avere sempre con sé pile di ricambio e, per esempio, spegnere e riaccendere le protesi (o l’impianto cocleare) di fronte ad un rumore fastidioso, come il frastuono di un martello elettrico o la sirena di un’ambulanza. La crescita  della consapevolezza e dell’autonomia del bambino sordo rispetto a questo ausilio devono essere messi in rilievo nella programmazione educativa personalizzata. Le nuove tecnologie, in particolare gli ambienti che si interfacciano con il web, possono effettivamente supportare l’apprendimento degli alunni sordi, a patto che tengano in debita considerazione le loro peculiarità e la variabilità che caratterizza le diverse competenze linguistiche e storie educative. Occorre sottolineare come molto si può fare sul piano educativo per aiutare il ragazzo a gestire il disagio e l’ansia di una conversazione, soprattutto con una persona non conoscente e, quindi, un interlocutore non predisposto e allenato a favorire la comprensione e con un timbro di voce poco noto.
Un lavoro di accompagnamento, supporto e di guida connesso all’eventuale percorso riabilitativo risulta centrale per la persona: educare a imparare a gestire la frustrazione di una mancata comprensione, aumentare la capacità di fare richieste all’interlocutore, allenare alla gestione dei turni della parola evitando che si monopolizzi la comunicazione, supportare e gratificare i risultati raggiunti. Un intervento che non esclude ma che preveda anche una sensibilizzazione e formazione anche ai compagni normoudenti, nell’ottica di una creazione di una società di inclusione.  L’importanza di raggiungere un lavoro soddisfacente assume un valore fondamentale per una disabilità che compromette proprio le possibilità di comunicare e relazionarsi con gli altri. Un approccio di rieducazione multimodale si avvale di aiutare la persona a comprendere se stessa, a conservare l’equilibrio personale, rinforzare l’autostima e promuovere la sua autonomia.

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