Lo sviluppo del gusto e delle abitudini alimentari in età pediatrica passa attraverso diverse fasi, alcune delle quali caratterizzate da una fisiologica diffidenza di fronte alla nuova proposta di alimenti sconosciuti. Il corretto superamento di queste fasi apre la strada ad un’alimentazione variegata e bilanciata; in alcuni casi, la diffidenza verso alimenti non noti o con caratteristiche sensoriali considerate dal bambino poco “attraenti” persiste, fino a condurre ad un’incapacità di soddisfare le esigenze nutrizionali con la comune alimentazione e ad un vero e proprio Disturbo della Nutrizione.
La preferenza verso alcuni sapori ha alla base meccanismi biologici ed ambientali. L’esperienza gustativa ha inizio con la gravidanza, prosegue poi con l’allattamento e con la fase dello svezzamento, con cui inizia la proposta di cibi solidi e non sempre dolci, e non sempre è bene accetta da tutti i bambini. Un’altra fase fisiologica è quella della neofobia, cruciale nel contributo all’accettazione di frutta e verdura.
Verso i 18 mesi, fino ai tre anni, i bambini presentano una preferenza per i cibi a loro familiari e una forte avversione verso i cibi che non conoscono; inoltre, la scelta alimentare comincia ad essere dettata anche da fattori aggiuntivi oltre al gusto: l’aspetto dell’alimento, la forma, la consistenza.
Secondo gli antropologi, il disgusto verso alimenti non noti avrebbe alla base un meccanismo evolutivo: l’esigenza di variare l’apporto nutritivo sarebbe controbilanciata dalla necessità di evitare intossicazioni da alimenti non noti.
La diffidenza tipica della fase della neofobia, infatti, è rivolta, spesso, verso alimenti vegetali, possibili fonti di veleni, tossine e sostanze antinutrienti. Quando le differenti fasi non vengono superate e si presenta un deficit nutrizionale significativo, un perdita di peso consistente e spesso una marcata interferenza con il funzionamento psicosociale, si parla di ARFID, il Disturbo Evitante/Restrittivo dell’assunzione di cibo.
Per porre diagnosi di ARFID, il disturbo non deve essere spiegato dalla mancata disponibilità di cibo o da una pratica culturalmente sancita, non deve manifestarsi esclusivamente durante il decorso dell’anoressia nervosa e della bulimia nervosa e non deve esserci l’evidenza che l’evitamento del cibo sia la conseguenza della paura d’ingrassare e dell’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo. Infine, il disturbo non deve essere attribuibile a una malattia medica concomitante o essere spiegato da un altro disturbo mentale. Quando il disturbo dell’alimentazione si verifica nel contesto di un’altra condizione o disturbo, la gravità del disturbo dell’alimentazione deve eccedere quella abitualmente associata con la condizione o il disturbo ed è sufficientemente grave da giustificare un’attenzione clinica aggiuntiva.