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Disturbo Ossessivo Compulsivo

A cura della Dott.ssa Gloria Marchesi
Il disturbo ossessivo compulsivo (noto con l’acronimo di DOC, o quello inglese di OCD) rappresenta un disturbo psichico che colpisce senza differenze di sesso e di età, dal 2 al 3 % della popolazione. L’esordio è tipicamente compreso tra i 6 e i 15 anni per i machi e tra i 20 e i 29 per le femmine e può essere acuto con sintomi improvvisi ed evidenti o più frequentemente subdolo e graduale. Elementi centrali del disturbo sono la presenza di ossessioni e/o di compulsioni (contemporaneamente in circa l’80% dei casi) per un tempo significativo della giornata (almeno un’ora al giorno) e con un’intensità o una frequenza tali da interferire con le normali attività quotidiane del soggetto (in ambito familiare, sociale, lavorativo ecc.)
In particolare, con il termine ossessioni si fa riferimento a pensieri, immagini mentali o impulsi, ricorrenti e persistenti e percepiti dal paziente come:
– intrusivi: sono pensieri (o immagini o impulsi) che compaiono improvvisamente e involontariamente nella mente di una persona, invadendola letteralmente, senza un apparente nesso con i pensieri precedenti;
– inappropriati, fastidiosi ed estremamente sgradevoli: spesso si tratta di pensieri incoerenti con l’immagine che un individuo ha di sé, “egodistonici”, ad esempio pensieri blasfemi in una persona molto devota o impulsi aggressivi e immagini di gesti violenti contro una persona che si ama;
– privi di senso: il paziente riconoscere l’irragionevolezza di tali pensieri, la loro estraneità (pur essendo consapevole che si tratta di prodotti della propria mente) o il loro carattere eccessivo e proprio per questo lotta attivamente per allontanarli.
Oggi, a differenza del passato, si ritiene che ciò che più contraddistingue le ossessioni non è tanto la qualità di questi pensieri, la loro assurdità e insensatezza (di cui la persona, come appena specificato, si dimostra sempre cosciente), quanto piuttosto le reazioni emotive e comportamentali che essi suscitano e l’impatto che hanno sulla qualità di vita dell’individuo. La ricerca ha infatti dimostrato che molti pensieri irrazionali presenti nelle persone affette da DOC (quali ad esempio la paura di essere contaminati, il timore di poter fare del male a qualcuno senza motivo, la paura di essere omosessuali ecc.), occasionalmente passano nella mente di tutti; ciò che differenzia un simile pensiero intrusivo e indesiderato da un’ossessione è la capacità e la possibilità della persona di tollerare l’improvvisa, ma normale preoccupazione e il senso di disagio che ne derivano. Se tali pensieri risultano intollerabili e vengono percepiti come segnale di un pericolo da scongiurare ad ogni costo, quasi certamente ne conseguirà una reazione volta a cercare immediatamente una rassicurazione, andando così ad aumentare la probabilità che tale situazione si ripeta nel futuro e portando ad un’ansia sempre maggiore. Appare quindi evidente che le ossessioni rappresentano qualcosa di diverso sia dalle normali preoccupazioni, razionalmente fondate e connesse a rischi reali, che dai pensieri irrazionali e indesiderati che transitoriamente possono attraversare la nostra mente, senza tuttavia compromettere e alterare in maniera significativa il nostro stato emotivo e il nostro comportamento abituale. Come per la quasi totalità dei disturbi psicopatologici, dunque, l’attenzione clinica si rende necessaria quando i sintomi persistono per molto tempo, creano un disagio significativo e compromettono pesantemente la vita quotidiana di una persona.
Il secondo elemento centrale del DOC è la presenza di compulsioni, ossia dell’impulso irrefrenabile di mettere determinati comportamenti (quali ad esempio riordinare, controllare, lavarsi le mani) o azioni mentali (contare, pregare o ripetere formule magiche). Riconoscendo frequentemente l’irrazionalità e l’eccessività di questi rituali la persona può sforzarsi attivamente di resistere e non attuarli, ma nella maggior parte dei casi si tratta di tentativi senza successo: attraverso le compulsioni questi pazienti cercano di ottenere il controllo sulla propria ansia e di attenuare il disagio che provano. Le compulsioni possono trasformarsi in rigide regole di comportamento, attuate con meticolosità e in maniera stereotipata, senza possibilità di interruzione e variazione rispetto alla loro sequenza e modalità.
La pratica clinica ha spesso tentato di individuare delle sotto-categorie all’interno dell’ampio gruppo di ossessioni e compulsioni possibili, distinguendo ad esempio disturbi da contaminazione, disturbi da controllo, superstizione eccessiva, ossessioni per l’ordine e la simmetria, disturbi da accumulo, ossessioni pure e compulsioni mentali. Al di là di tali tentativi classificatori è bene tuttavia ricordare che lo specifico “oggetto” attorno al quale si strutturano ossessioni e compulsioni può mutare nel corso del tempo e sua identità non modifica nè la natura del disturbo, né i meccanismi che contribuiscono a mantenerlo.
Per quanto riguarda la cura fino agli anni ’60 la psicanalisi era ritenuta il trattamento di prima scelta, pur portando raramente a risultati apprezzabili; il disturbo ossessivo-compulsivo era ritenuto, in definitiva, una patologia pressoché incurabile e per i casi più gravi si optava per la psicochirurgia. Nel 1966 lo psicologo inglese Victor Meyer fu il primo a sperimentare (perfezionandolo poi a partire dalla propria pratica clinica) un trattamento fondato esclusivamente su procedure comportamentali: il paziente doveva essere ripetutamente esposto agli stimoli per lui ansiogeni e a tale esposizione doveva essere accompagnata dalla “prevenzione della risposta” (in questo caso compulsioni e rituali). Questo tipo di intervento è ancora oggi quello maggiormente raccomandato dalla ricerca evidence-based; per i casi più gravi può essere considerata l’opportunità di effettuare il trattamento in un regime di ricovero (per 2-4 settimane) e con supporto farmacologico. Negli ultimi anni sono state inoltre sviluppate procedure di trattamento ambulatoriale di matrice cognitiva, efficaci soprattutto per i casi più lievi, per i pazienti con sole ossessioni, nella prevenzione delle ricadute oppure in abbinamento alle procedure comportamentali canoniche di esposizione e prevenzione della risposta.

Bibliografia:

Melli, G. (2011). Vincere le ossessioni. Capire e affrontare il disturbo Ossessivo-Compulsivo. Firenze: Eclipsi.
Sanavio, E. e Cornoldi, C. (2010). Psicologia clinica. Bologna: Il Mulino.