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Sindrome della capanna o sindrome del prigioniero

A cura della Dott.ssa Margherita Baruffi

Il 2020 è stato un anno particolare durante il quale abbiamo sentito e usato termini quasi sconosciuti come pandemia, Covi-19, coronavirus, distanziamento sociale. Verso la fine della fase 1 dell’emergenza Covid-19 abbiamo iniziato a sentir parlare della  “Sindrome della capanna”.

Ma che cos’è?

La Sindrome della capanna, detta anche Sindrome del prigioniero, è un insieme di sintomi che si presentano quando, in seguito di un protratto periodo di lontananza dalla quotidianità e dalla realtà a causa di eventi avversi, arriva il momento di riprendere contatto con il mondo esterno. Tra questi troviamo:

  • Ansia
  • Tristezza, angoscia
  • Mancanza di energia e di entusiasmo
  • Diminuzione della motivazione
  • Senso di solitudine, percezione di essere senza speranza
  • Sentimento di non appartenenza alla società

Da Marzo a Maggio di quest’anno le persone si sono scontrate con un evento estremamente minaccioso, che ha imposto nuove abitudini, astensione dal lavoro o smart-working, chiusura delle scuole, ma soprattutto un isolamento forzato lontano dalle amicizie e, in numerosi casi, anche dai famigliari. Nonostante le innumerevoli difficoltà le persone si sono adattate abbastanza velocemente alle restrizioni nella speranza di riuscire a  fermare la diffusione del virus.

La natura umana necessita di abitudini che garantiscono sensazioni di sicurezza, di tranquillità, e le persone si adagiano in quella che è definita “zona di comfort” dalla quale diventa difficile uscire poiché significherebbe ritrovarsi in situazioni  di incertezza, smarrimento.

Al termine del lockdown alcune persone, sia tra quelle che hanno vissuto la fase 1 con  insofferenza, sia quelle che hanno vissuto in modo positivo le differenti opportunità che le restrizioni avevano messo a disposizione, hanno iniziato a manifestare i sintomi caratteristici della sindrome della capanna.

La ragione della comparsa di tali sintomi è da ricercarsi nella paura di non essere in grado di adattarsi alle nuove restrizioni imposte dalla fase 2.

Con la fase 2, infatti, si sono stabilite nuove e diverse regole e abitudini, al di fuori delle proprie mura di casa. Si sono ripristinate alcune delle precedenti abitudini lavorative e quotidiane, ma nello stesso tempo bisogna rispettare le misure di sicurezza anti-contagio. C’è quindi una nuova condizione di vita dove dobbiamo imparare a convivere col Covid-19, e dove non abbiamo certezze sull’andamento della pandemia e quindi sulle nostre condizioni di vita future.

Consigli pratici per fronteggiarla:

Riconoscere che si tratta di una risposta normale alla situazione che stiamo vivendo: non siamo gli unici a sentirci così.

Parlare con qualcuno di come ci sentiamo: condividere con gli altri i propri vissuti allevia la tensione e riduce il senso di solitudine.

Diminuire l’esposizione alle continue notizie sul COVID , in modo da attenuare il senso di allerta e agitazione connesso al virus e al contagio.

Esporsi gradualmente alle situazioni più temute, magari aiutandosi con alcuni esercizi di respirazione può favorire il rilassamento psico-fisiologico e prevenire eventuali attacchi di ansia e di panico.

Se ansia, frustrazione, insonnia e irritabilità persistono nel tempo, è consigliabile ricercare l’aiuto di un professionista, psicologo, psicoterapeuta, medico di base.